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Quanto costa un investigatore privato? Indagini Assenteismo Dipendente?Chiama

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Quanto costa un investigatore privato?  Per investigazioni su assenteismo dipendente? Scopri tariffe e prezzi

Tariffe Investigatore Privato: Prezzi, Costi Agenzia

In linea generale la tariffa oraria applicata ad un'investigazione Aziendale o privata, per agente investigativo ha un costo minimo di € 50

Investigazioni  Private ed Aziendali ,  listino prezzi autorizzato, i costi giornalieri  e le tariffe orarie applicate per un  investigazione privata partono da un  minimo di € 50 (per agente, oltre iva e spese. L’Agenzia IDFOX Srl  è un'agenzia  Leader

L'agenzia IDFOX srl smaschera infedeli da trent'anni. L'aree di indagine spaziano tra infedeltà aziendale, spionaggio industriale, contraffazione di prodotti, assenteismo e periodi di malattia ingiustificati, arrivando a comprendere anche la concorrenza sleale. 

L'uso di un'agenzia investigativa è sempre più frequente tra le aziende. A tal proposito è intervenuta anche la Corte di Cassazione, dettando delle linee guida con una prouncia del 1 marzo 2019, stabilendo che le indagini sui lavoratori sono, seppur non sempre, legittime. 

La Cassazione ha inoltre sottolineato che le investigazioni private sui dipendenti sono legittime nel momento in cui i comportamenti del lavoratore possono "configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente", in sintesi quando vengono messe in atto delle condotte che arrecano un danno evidente all'azienda; come nel caso di un dipendente che si allontanava ripetutamente dal luogo di lavoro, durante l'orario di servizio e senza timbrare il badge in uscita. In questa occasione, il lavoratore è stato seguito "in strada" (quindi in luogo pubblico) per verificare il motivo degli spostamenti e, una volta dimostrata la mancanza agli obblighi lavorativi, è stato licenziato per giusta causa. 

 

Il datore di lavoro può far pedinare i dipendenti dai detective di un’agenzia investigativa per vedere dove vanno e cosa fanno durante le ore di permesso?  SI, SI. SI!!!!!

Molti datori di lavoro sospettano che i propri dipendenti abusino della fiducia loro concessa, specialmente quando sono in malattia oppure usufruiscono di vari tipi di permessi, orari o giornalieri: da quelli concessi ai sensi della legge 104 per assistere un familiare disabile a quelli spettanti ai rappresentanti sindacali. Così alcune aziende fanno pedinare i lavoratori da un investigatore privato per vedere dove vanno e cosa fanno durante le ore di malattia o di permesso.

Talvolta, il detective scopre che qualcuno approfitta delle “ore libere” come se fossero una pausa ricreativa, o magari le usa per dedicarsi ad attività che non hanno nulla a che vedere con le finalità per cui erano state messe a disposizione, ed anche retribuite. In questi casi, c’è una violazione del patto di fedeltà che lega il dipendente al datore, e anche un danno economico per quest’ultimo: così la sanzione disciplinare è severa e può arrivare fino al licenziamento in tronco. Ma si può licenziare un lavoratore con le prove dell’investigatore privato? Che valore hanno le sue dichiarazioni, le foto che ha scattato, i documenti che ha raccolto, le informazioni che ha acquisito? Il lavoratore licenziato può contestare tutto ciò? Vediamo.

Indice

* 1 Quando si può far pedinare un lavoratore dall’investigatore privato?

* 2 Cosa può fare l’investigatore privato durante i pedinamenti?

* 3 Che valore hanno le prove raccolte dall’investigatore privato ai fini del licenziamento?

* 4 Approfondimenti

Quando si può far pedinare un lavoratore dall’investigatore privato?

I poteri di vigilanza e di controllo del datore di lavoro sull’operato dei propri dipendenti si estendono anche al di fuori dei luoghi di lavoro e degli orari di servizio. La giurisprudenza ammette da anni che è lecito ricorrere ad agenzie investigative private, non solo quando sono state già raccolte evidenti prove di infedeltà compiute dai dipendenti, ma anche quando c’è un semplice sospetto della loro commissione.

L’importante è che lo “spionaggio” del datore di lavoro non si traduca mai in una verifica sull’espletamento delle prestazioni lavorative: la legge [1] vieta l’impiego di guardie giurate o di altro personale di vigilanza, come gli investigatori privati, nei luoghi di lavoro, tranne che per la tutela del patrimonio aziendale. All’esterno, invece, tutto cambia: il datore di lavoro può far sorvegliare e pedinare i dipendenti da detective di sua fiducia (ma non quando il lavoratore è in missione, perché tale periodo è considerato come svolgimento degli incarichi affidati e, pertanto, è equiparato alle normali prestazioni lavorative interne).

In estrema sintesi, non si può spiare ciò che fanno i dipendenti in azienda, ma fuori sì. Di solito, il pedinamento di un lavoratore dall’investigatore privato viene disposto dal datore di lavoro per controllare se quel dipendente è veramente in malattia oppure se sta utilizzando il permesso per le finalità consentite dalla legge e non per altri scopi che non hanno nulla a che fare con ciò.

Cosa può fare l’investigatore privato durante i pedinamenti?

L’investigatore privato durante i pedinamenti dei lavoratori di cui lo ha incaricato il datore di lavoro, può scattare foto e registrare video, purché ciò avvenga in luoghi pubblici o aperti al pubblico (come bar, negozi, cinema e ristoranti) e non in luoghi di privata dimora. Può anche utilizzare strumenti di rilevamento della posizione di persone e autoveicoli (come il localizzatore satellitare Gps), raccogliere informazioni sui luoghi frequentati dalla persona pedinata e redigere annotazioni e relazioni di servizio (dette anche report investigativi) per documentare la propria attività nei confronti di chi gli ha commissionato l’incarico.

In ogni caso, però, il pedinamento non deve essere mai invasivo della libertà personale e dei luoghi privati o risultare molesto, altrimenti costituirebbe reato, come ha affermato in varie occasioni la Corte di Cassazione [2]. In proposito, leggi “Investigazioni: quando il pedinamento è reato“.

Che valore hanno le prove raccolte dall’investigatore privato ai fini del licenziamento?

Una volta chiarito che l‘investigatore privato può controllare un dipendente, purché ciò avvenga alle condizioni ed entro i limiti che abbiamo detto, resta da vedere che valore hanno le prove raccolte dal detective o dall’agenzia investigativa ai fini del licenziamento intimato al lavoratore infedele. In concreto, potrà trattarsi di prove documentali (ad esempio, le fotografie scattate e le localizzazioni Gps) e di testimonianze rese nella causa di lavoro, instaurata con l’opposizione del lavoratore al licenziamento.

La tematica della prova dell’attività investigativa compiuta da un detective privato incaricato dal datore di lavoro è stata affrontata in una recente ordinanza della Cassazione [3], che ha ritenuto legittimo il licenziamento adottato nei confronti di alcuni lavoratori portuali i quali, durante le ore di permesso sindacale loro concesse, in quanto rappresentanti della sicurezza aziendale, avevano svolto attività incompatibili con tale incarico.

L’investigatore privato aveva reso la sua rituale testimonianza nel processo, confermando, nel contraddittorio con i lavoratori licenziati, tutte le circostanze già elencate nel report investigativo che aveva consegnato alla società datrice di lavoro. La relazione scritta e la deposizione testimoniale hanno documentato per filo e per segno tutti i movimenti compiuti da quei dipendenti mentre fruivano dei permessi. Risultava in modo chiaro che costoro avevano utilizzato quelle ore per fini privati: il detective ha attestato davanti al giudice che andavano al passeggio, al bar, a fare shopping e a sbrigare commissioni. Il tutto si era svolto nell’arco di più di tre mesi consecutivi.

I lavoratori licenziati avevano contestato che gli elementi raccolti e descritti dall’investigatore privato non erano «realmente rappresentativi dell’attività espletata dal lavoratore», ma la doglianza non ha convinto i giudici della Suprema Corte: è vero che nel licenziamento disciplinare – detto anche licenziamento per “giusta causa” – la prova del comportamento scorretto del dipendente grava sul datore di lavoro, ma se egli fornisce elementi positivi in tal senso tocca al lavoratore contestare tale ricostruzione e dimostrare che le ore di permesso erano state fruite per le attività accordate dalla legge e non per altri scopi.

Approfondimenti

* Investigatore privato sul dipendente;

* Licenziamento: posso ricorrere all’investigatore privato?;

 

note

[1] Art. 2 L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).

[2] Cass. sent. n. 18117/2014, n. 43439/2010 e n. 5855/2001.

[3] Cass. ord. n. 17287 del 27.05.2022.

 

Visita fiscale, ultime dalla Cassazione

Impedimento alla visita fiscale di controllo, carattere della sanzione per assenza alla visita: le ultime dalla Cassazione in materia di visite fiscali

 

* Impedimento alla visita fiscale di controllo

* Assenza visita fiscale, la sanzione non ha carattere disciplinare

* Accertamenti infermità per malattia del lavoratore

* Assenza ingiustificata dal domicilio: non rileva il dolo

* Assenza giustificata alla visita fiscale

* Assenza visita fiscale e condotta del lavoratore

Impedimento alla visita fiscale di controllo

È legittimo il rigetto dell'istanza di rinvio dell'udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza per legittimo impedimento a comparire presentata dal condannato e documentata da un certificato medico, qualora l'indicazione nell'istanza della reperibilità del medesimo in un luogo diverso da quello in cui egli effettivamente si trovi abbia impedito l'esecuzione della visita fiscale di controllo. (Sez. 1, n. 26762 del 16/07/2020, Torres, Rv. 279784).

Cassazione, sentenza n. 35715 del 29/09/2021

Assenza visita fiscale, la sanzione non ha carattere disciplinare

La questione oggetto di giudizio non riguarda una sanzione disciplinare, ovverosia una prestazione imposta a titolo punitivo dal datore di lavoro, ma il regime delle obbligazioni al verificarsi di una malattia, allorquando risulti l'allontanamento del lavoratore negli orari di reperibilità utili allo svolgimento della c.d. visita fiscale. Ciò è reso evidente non solo dal richiamo nel provvedimento della norma di condotta del C.C.N.L. di pertinenza, chiaramente destinata a regolare i comportamenti obbligatori dovuti nell'ambito del rapporto di R. G. n. 22760/2015 lavoro (art. 21, co. 13, del citato CCNL secondo cui «qualora il dipendente debba allontanarsi, durante le fasce di reperibilità, dall'indirizzo comunicato, per visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva comunicazione all'amministrazione»), quanto piuttosto dalla norma sulla cui base la P.A. ha agito con atto da essa stessa definito di "gestione" del personale (art. 5, co. 14 d.l. 463/1983 conv. con mod. in L. 638/1983, secondo cui «qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo»), da cui si desume come quella prevista sia una mera conseguenza obbligatoria, espressamente regolata dalla legge, destinata ad operare all'interno del rapporto previdenziale e quindi dell'I.N.P.S., quando sia tale ente, come nel lavoro privato, ad erogare il trattamento, oppure nei riguardi del datore di lavoro quando, come è nel pubblico impiego, sia quest'ultimo a corrispondere quanto dovuto, ai sensi di legge (ora art. 71 d.l. 112/2008, conv. con mod. in L. 133/2008) o di contrattazione collettiva.

Cassazione, sentenza n. 33180 del 10/112021

Accertamenti infermità per malattia del lavoratore

In tema di licenziamento per giusta causa, la disposizione di cui all'art. 5 St. lav. che vieta al datore di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente o lo autorizza a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non preclude al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificarne l'assenza (Cass. n. 25162 del 2014; Cass. n. 11697 del 2020; Cass. n. 6236 del 2001). E' insito in tale giurisprudenza, invero, il riconoscimento della facoltà del datore di lavoro di prendere conoscenza di siffatti comportamenti del lavoratore che, pur estranei allo svolgimento di attività lavorativa, sono rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti.

Cassazione, sentenza n. 30547 del 28/102021

Assenza ingiustificata dal domicilio: non rileva il dolo

 

L'ingiustificata assenza del lavoratore alla visita di controllo — per la quale l'art. 5, comma quattordicesimo, del DL. 12 settembre 1983 n. 463 (convertito nella legge n. 638 del 1983) prevede la decadenza (in varia misura) del lavoratore medesimo dal diritto al trattamento economico di malattia — non coincide necessariamente con la materiale assenza di quest'ultimo dal domicilio nelle fasce orarie predeterminate, potendo essere integrata da qualsiasi condotta dello stesso lavoratore, pur presente in casa, che sia valsa ad impedire l'esecuzione del controllo sanitario per incuria, negligenza o altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale. La prova dell'osservanza di tale dovere di diligenza incombe sul lavoratore (v., ex plurimis, Cass. 22 maggio 1999 n. 5000).

Né ha rilievo che la mancata visita avvenga senza dolo da parte dell'interessato, perché ciò che è sanzionato è il fatto obiettivo in sé, indipendente dall'intenzione in concreto del lavoratore (Cass. 30 luglio 1993 n. 8484).

Cassazione, sentenza n. 4233 del 23.11.2021

Assenza giustificata alla visita fiscale

Il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall'obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo non ricorre solo nelle ipotesi di forza maggiore, ma corrisponde ad ogni fatto che, alla stregua del giudizio medio e della comune esperienza, può rendere plausibile l'allontanamento del lavoratore dal proprio domicilio, senza potersi peraltro ravvisare in qualsiasi motivo di convenienza od opportunità, dovendo pur sempre consistere in un'improvvisa e cogente situazione di necessità che renda indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità".

Cassazione, ordinanza n. 24492 dell'1/10/2019

Assenza visita fiscale e condotta del lavoratore

L'ingiustificata assenza del lavoratore alla visita di controllo - per la quale l'art. 5, comma quattordicesimo, del D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modifiche, nella legge 11 novembre 1983 n. 638, - prevede la decadenza (in varia misura) del lavoratore medesimo dal diritto al trattamento economico dì malattia - non coincide necessariamente con l'assenza del lavoratore dalla propria abitazione, potendo essere integrata da qualsiasi condotta dello stesso lavoratore - pur presente in casa - che sia valsa ad impedire l'esecuzione del controllo sanitario per incuria, negligenza o altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale. La prova dell'osservanza del dovere di diligenza incombe al lavoratore (cfr. Cass., 18 novembre 1991 n. 12534; 23 marzo 1994 n. 2816; 14 maggio 1997 n. 4216, Cass. 22 maggio 1999, n. 5000).

Cassazione, sentenza n. 19668 del 22/07/2019

                  

CASS. PEN., SEZ. II, SENTENZA N. 16814/2019 DEL 26.02.2019 

SENTENZA 8373/2018 - ASSENTEISMO 

 

Secondo l'orientamento indicato nel provvedimento in commento, è legittimo il licenziamento basato sull'esito di un'attività investigativa.

Nella fattispecie, la Corte d'Appello di Roma aveva confermato la pronuncia del 2014 emessa dal Tribunale di Roma, con la quale era stata respinta la domanda proposta al fine di ottenere l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore nel 2011 e il suo annullamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento del danno, in misura pari alle mensilità di retribuzione maturate dalla data del ricorso fino alla data di riammissione in servizio. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha rilevato che:

1) la contestazione disciplinare, intervenuta dopo 45 giorni, era tempestiva avendo riguardo alla data della effettiva e certa conoscenza dei fatti, al periodo feriale intercorso e alla complessità della organizzazione aziendale;

2) la sanzione irrogata era proporzionata rispetto ai fatti contestati;

3) riguardo alla problematica sulla illegittimità dei controlli svolti dalla agenzia investigativa, in violazione degli artt. 2, 3, e 4 legge n. 300/1970, si trattava di una questione nuova perché prospettata per la prima volta in appello e, comunque, infondata perché l'attività investigativa era finalizzata non all'accertamento delle modalità di adempimento dell'obbligazione lavorativa, bensì alla verifica se il dipendente si fosse assentato, senza giustificato motivo o permesso dal luogo di lavoro.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma il lavoratore ha proposto ricorso, affidandolo a sette motivi, tutti ritenuti inammissibili o infondati. Ne consegue che il ricorso è stato rigettato. Sui punti controversi la Suprema Corte precisa che l'attività svolta dal lavoratore ricorrente si svolgeva non solo nei locali dell'azienda, ma anche esternamente e che era tenuto al rispetto dell'orario di lavoro di 37 ore settimanali e che doveva attestare la propria presenza al lavoro con un'unica timbratura giornaliera del badge, effettuabile nell'arco della giornata, abitualmente all'uscita del lavoro.

Orbene, la disposizione dell'art. 2 dello Statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest'ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste:

- non sconfinino nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria riservata dall'art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori;

- giustifichino l'intervento in questione non solo per l'avvenuta prospettazione di illeciti e per l'esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che detti illeciti siano in corso di esecuzione (cfr. Corte di Cassazione, 14.2.2011 n. 3590);

- inoltre, il suddetto intervento deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero adempimento dell'obbligazione (Corte di Cassazione, 7.6.2003 n. 9167). Le garanzie degli artt. 2 e 3 citati operano, infatti, esclusivamente con riferimento all'esecuzione della attività lavorativa in senso stretto, non estendendosi, invece, agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione che possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi.

Deve, pertanto, ritenersi corretto il riferimento dei giudici di seconde cure al fatto che, nel caso in esame, il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento dell'obbligazione lavorativa, bensì le cause dell'assenza del dipendente dal luogo di lavoro, concernenti appunto il mancato svolgimento dell'attività lavorativa da compiersi anche all'esterno della struttura aziendale. La ritenuta liceità del controllo rende, altresì, prive di fondamento le doglianze sulla violazione degli artt. 2104 e 2106 c.c. perché il potere dell'imprenditore di controllare direttamente o indirettamente l'adempimento delle prestazioni lavorative, nei limiti sopra evidenziati, non è escluso dalle modalità di controllo che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all'art. 4 della Legge n. 300/1970 riferito esclusivamente all'uso di apparecchiature per il controllo a distanza (cfr. Corte di Cassazione, 10.7.2009 n. 16196).

 CASS. CIV., SEZ. LAVORO, SENTENZA N. 8373/2018 DEL 04.04.2018

                                       

 SENTENZA 4670/2019 - INDEBITO UTILIZZO LEGGE 104

Secondo l'orientamento indicato nel provvedimento in commento, è legittimo il licenziamento attuato a causa della scoperta di una condotta contra ius del dipendente, accertata in seguito ad un controllo effettuato da un'agenzia di investigazioni private.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva licenziato il proprio dipendente, poiché quest'ultimo utilizzava indebitamente dei permessi, rilasciatigli al fine di prestare assistenza a un proprio familiare.

Il dipendente, abusando di tali permessi, era stato avvistato dall'investigatore privato incaricato mentre svolgeva attività d'interesse personale (per la maggior parte presso esercizi commerciali).

Sia il Tribunale, sia la Corte d'Appello, ritenevano la condotta del dipendente così grave da legittimare la massima sanzione espulsiva.

In particolare, la Corte, sosteneva che un datore di lavoro fosse del tutto legittimato a incaricare un investigatore per svolgere un'attività di controllo nei confronti di un proprio dipendente, laddove tale controllo esulasse da qualsivoglia adempimento della prestazione.

A tal proposito, ai sensi degli articoli 2 e 3 dello statuto dei lavoratori, è fatto divieto al datore di lavoro di incaricare personale autorizzato a effettuare vigilanza sull'attività lavorativa, tuttavia non gli è precluso di esercitare taluni poteri di controllo investigativo al di fuori dell'ambito strettamente lavorativo, col fine di accertarsi che non vengano poste in essere condotte fraudolente, ovvero penalmente rilevanti (vedi Cass. n. 22196 e 15094 del 2018).

L'investigatore incaricato dal datore di lavoro deve limitarsi a documentare gli atti illeciti del lavoratore che non siano però riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione alla quale il medesimo è tenuto contrattualmente ad adempiere(vedi anche Cass. n. 9167 del 2003).

In conclusione, se nell'esercizio di tale attività investigativa, il dipendente è colto mentre svolge qualsivoglia tipo di attività che implichi il venir meno dell'obbligo di fedeltà, nonché di correttezza e buona fede, così come sancito dall'articolo 2105 c.c., il datore di lavoro è legittimato a licenziarlo.

 

CASS. CIV., SEZ. LAVORO, SENTENZA N. 15094/2018 DEL 11.6.2018

Legge 104: permessi e agevolazioni, i colleghi possono fare la spia.

L'abuso dei permessi e delle agevolazioni garantite dalla Legge 104 è passibile di denuncia, essendo un reato perseguibile dalla legge. I permessi garantiti tramite la legge 104, sono infatti assicurati al lavoratore per garantire attività di assistenza al familiare disabile.

Chi usufruisce di un permesso 104, in pratica, ha diritto ad assentarsi dal lavoro per accudire il parente disabile. Tale assenza viene retribuita. Andare in vacanza o in gita, invece di svolgere quegli adempimenti per i quali si è chiesto il permesso, è un reato penale; si tratta a tutti gli effetti di una truffa ai danni dello Stato e del datore di lavoro, che può optare per il licenziamento per giusta causa del soggetto.

 

 

CHI SIAMO: 

Il titolare dell’agenzia IDFOX SRL, Max Maiellaro, ha oltre 30 anni di esperienze investigative maturate nella Polizia di Stato e già diretto collaboratore del Conte Corrado AGUSTA, ex Presidente dell’omonimo Gruppo AGUSTA SpA; è stato inoltre responsabile dei servizi di sicurezza di varie multinazionali operanti in svariati settori.

Con l'agenzia IDFOX si occupa principalmente di illeciti civili e penali, connessi a: infedeltà aziendale, marchi e brevetti, concorrenza sleale, proprietà intellettuale, violazione del patto di non concorrenza, tutela delle persone e della famiglia. L'agenzia investigativa fornisce inoltre servizi di consulenza a multinazionali e studi legali sul territorio Italiano, Europeo e internazionale.

GARANZIA DI PROFESSIONALITA’ E RISERVATEZZA; RISULTATI GARANTITI! PROVE DOCUMENTATE CINEFOTOGRAFICHE GIURIDICAMENTE VALIDE VENGONO FORNITE PER OGNI SERVIZIO DI SORVEGLIANZA. 

 

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Assenteismo sul lavoro: il ruolo determinante dell'investigatore privato

 

 

I dipendenti, come confermato dalla legge, possono legittimamente assentarsi dal lavoro per molteplici ragioni, che possono essere personali, familiari o di salute. Tuttavia, in alcuni casi l'assenza dal lavoro può diventare una vera e propria abitudine e può dipendere da motivazioni poco nobili, come finta malattia, doppio lavoro, prolungamento di ferie, simulato accudimento di familiari per cui si ha diritto ai permessi della legge 104 e così via.

In questi ed altri casi, l'azienda può ricorrere a diverse soluzioni, tra le quali anche il licenziamento per giusta causa. Ma come è possibile dimostrare che un dipendente sta commettendo un illecito? La cosa migliore è affidarsi ad un investigatore privato professionale e discreto Roma, in modo da condurre delle indagini efficaci e poter contare su prove inoppugnabili da poter presentare, all'occorrenza, anche in tribunale.

L'investigatore privato a tutela dell'azienda

L'assenteismo, come hanno dimostrato numerosi studi, incide negativamente, non solo sull'economia dell'azienda, ma anche sugli stessi lavoratori. Infatti, la produttività viene compromessa, a causa delle continue modifiche dei programmi di lavoro e delle sostituzioni dei dipendenti assenti. Di fatto, i lavoratori sono spesso costretti a rimboccarsi le maniche ed a svolgere le mansioni degli assenteisti, portando ad una insoddisfazione del personale che agisce in maniera corretta.

Come anticipato poco sopra, l'assenza ingiustificata dal lavoro è una delle cause che, quando opportunamente provata, può portare al licenziamento, in quanto la condotta del dipendente è reputata talmente grave da non poter consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro fino a quel momento intrapreso.

In questo casi, a venire meno è il vincolo fiduciario, che deve esistere tra datore di lavoro e dipendente. La Corte di Cassazione ha ribadito più volte che il datore di lavoro, nel caso in cui nutra dei sospetti in merito ad un lavoratore assenteista, può fare ricorso ad un'agenzia investigativa. In questo modo, infatti, ha la possibilità, non solo di fugare qualunque dubbio, ma anche di raccogliere le informazioni necessarie per procedere al meglio, senza contravvenire in alcun modo alla legge.

Il dossier investigativo come prova inconfutabile da utilizzare in giudizio

Il compito dell'investigatore privato, che viene chiamato ad intervenire nei casi di presunto assenteismo ingiustificato, è quello di raccogliere, in maniera lecita e nel pieno rispetto della legge vigente, tutte le informazioni e le prove utili da presentare in giudizio. Ciò vuol dire fornire materiale fotografico, ma anche audio e video. Solo in questo modo, infatti, il datore di lavoro ha la possibilità di procedere legalmente nei confronti dei dipendenti assenteisti.

Di fatto, l'agenzia investigativa deve produrre, a fine mandato, il cosiddetto dossier investigativo. Si tratta di un documento che ha proprio lo scopo di raccogliere le prove a sostegno della posizione del datore di lavoro. Tuttavia, ha anche valore probatorio in ambito processuale, che è la cosa più importante, in quanto il lavoratore licenziato potrebbe cercare di ribaltare la situazione e far credere di non aver commesso nulla di male.

Trovare un'agenzia investigativa valida ed affidabile non è sempre facile, anche perché tante persone, per guadagnare un po' di soldi si improvvisano investigatori, arrecando gravi danno a coloro che vi si affidano. Dunque, è importante tenere gli occhi aperti e valutare con attenzione il personale e le modalità di intervento, al fine di non andare in contro a spiacevoli sorprese.

 Visita fiscale Inps: chi manda il medico e a che ora????. La procedura

 Visita fiscale Inps: chi manda il medico e a che ora. La procedura.

Chi richiede la visita fiscale Inps e in quali orari il medico può visitare il lavoratore malato? Innanzitutto bisogna precisare che la procedura di richiesta della visita medica di controllo è differente per dipendenti pubblici e privati. Per questi ultimi, infatti, la visita fiscale Inps può essere richiesta dal datore di lavoro. Ma il lavoratore può essere anche tra i soggetti visitati dall'Istituto senza che il suo datore di lavoro abbia richiesto nulla. Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, invece, è l'Amministrazione a richiedere la visita seguendo le disposizioni vigenti.

Visita fiscale Inps: lavoratore assente per malattia, cosa fa il datore di lavoro

Il lavoratore che si assenta per malattia dovrà avvertire il proprio datore di lavoro e seguire la normativa vigente in materia. Nel comunicare il proprio stato di malattia tramite apposito certificato medico e rispettando l'obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie.

Il datore di lavoro può richiedere la visita fiscale Inps sin dal primo giorno di malattia. La richiesta dovrà essere fatta utilizzando il canale telematico messo a disposizione dall'Inps. Sempre per via telematica, l'istituto provvede all'assegnazione tempestiva della visita ai medici incaricati di effettuare le visite fiscali a domicilio. Il datore di lavoro può anche non chiedere la visita medica di controllo. È possibile dunque che sia lo stesso Inps a effettuare visite fiscali tramite controlli a campione. Senza dunque che il datore di lavoro la richieda necessariamente.

Visite fiscali: esonero totale dipendenti pubblici e privati. Come averlo.

Il datore di lavoro, soprattutto nel caso di soggetti a rischio, può comunque avviare delle indagini sul soggetto lavoratore assente per malattia. Ad esempio monitorandolo tramite investigatore privato. Nel caso in cui dalle indagini emerga esplicitamente il comportamento scorretto del lavoratore, quest'ultimo può andare incontro a licenziamento per giusta causa, e quindi senza preavviso.

Visita fiscale Inps: a che ora arriva il medico?

Quel che è certo sono gli orari delle visite mediche di controllo. Differenti anche qui tra dipendenti pubblici e privati. Per i primi le fasce orarie di reperibilità vanno dalle 9 alle 13 del mattino e dalle 15 alle 18 del pomeriggio. Per i privati, invece, dalle 10 alle 12 del mattino e dalle 17 alle 19 del pomeriggio. Le visite fiscali Inps possono essere effettuate tutti i giorni della settimana, compresi i festivi e i weekend. Va infine precisato che i medici Inps possono venire anche due volte nella stessa giornata o più giorni consecutivi. Ovviamente sempre considerando le fasce orarie di reperibilità.

Orari medico: quando può aspettare. I casi.

Esistono però alcuni casi in cui l'obbligo di reperibilità decade. Questi casi riguardano sostanzialmente assenze dovute all'effettuazione di terapie salvavita o alla sottoposizione ad analisi o visite di controllo specialistiche legate alla patologia per cui si è assenti dal lavoro. In questo caso, il lavoratore sarà chiamato a dare preventiva comunicazione al datore di lavoro (per i privati) o all'Amministrazione (per i pubblici) e presentare in seguito comprovata documentazione.

Violazione legge 104  dei permessi di cura a un familiare

 Il nome della dirigente della Centrale Unica di Emergenza Luisa Zappini è finito nel registro degli indagati per un presunto utilizzo improprio dei permessi di cura a un familiare. Il reato ipotizzato è quello di truffa: durante alcuni dei giorni di permesso concessi per legge, la numero uno del Cue sarebbe stata in vacanza all'estero. Il procuratore capo Marco Gallina ha aperto un fascicolo, dopo la segnalazione fatta dal consigliere provinciale del Movimento 5 Stelle Filippo Degasperi, che ha presentato anche un'interrogazione per sapere se Piazza Dante sia intenzionata ad adottare delle iniziative. Va detto che l'iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto a tutela della stessa Zappini e non rappresenta una prognosi di colpevolezza. 

Contestualmente alle verifiche avviate dalla Provincia (di cui la dirigente è dipendente), la Procura ha puntato la lente su tre distinti episodi risalenti agli ultimi anni. Il caso scoppia peraltro ad urne aperte: Zappini (da 18 anni presidente dell'Ipasvi) è il nome di punta di una delle due liste candidate a guidare il Collegio trentino degli infermieri professionali. Le votazioni si chiuderanno questo pomeriggio alle 15. I documenti di cui è entrato in possesso Degasperi sono stati acquisiti dalla polizia per fare piena luce sulla vicenda. Si tratta della tabella che riepiloga le ore di servizio, ma anche di tre distinte email scritte da Zappini e di un biglietto aereo.

Il primo episodio contestato alla dirigente del Cue risale all'ultima settimana di febbraio e ai primi giorni di marzo 2015. Secondo quanto emergerebbe dalla documentazione, Zappini avrebbe usufruito dei permessi previsti dalla legge 104 proprio nei giorni in cui si sarebbe trovata in vacanza alle Maldive. In una mail, in particolare, la dirigente darebbe istruzioni ad un collaboratore su come gestire la compilazione del riepilogo delle presenze mensili, parlando esplicitamente di ferie e chiedendo l'inserimento nella tabella di cinque giorni di permesso per l'assistenza di un familiare (da lunedì 23 a mercoledì 25 febbraio, ma anche lunedì 2 e martedì 3 marzo). In un'altra mail inviata in quei giorni, Luisa Zappini annuncerebbe ad un'altra persona di trovarsi alle Maldive, mentre nell'ultimo messaggio di posta elettronica racconterebbe di godersi sole e mare nell'arcipelago dell'Oceano Indiano noto per essere un autentico paradiso.

Il secondo episodio sarebbe avvenuto nel mese di settembre 2015. Anche in questo caso il riepilogo del conteggio ore di servizio registra l'utilizzo di due giornate di permesso con legge 104 - nello specifico giovedì 10 e venerdì 11 - dopo la trasferta di mercoledì 9 fuori dal Trentino. In base ai dati riportati su un biglietto aereo EasyJet (sul quale compare il nome della passeggera Luisa Zappini e di cui la Procura è entrata in possesso), la dirigente si sarebbe imbarcata all'aeroporto Fiumicino alle 17.25 del 9 settembre 2015 - dunque al termine della sua trasferta a Roma - e alle 17.55 sarebbe decollata alla volta di Parigi. Il giorno dopo (sempre secondo il riepilogo di servizio) Zappini avrebbe assistito il familiare per 7 ore e 36 minuti. Sarà la Procura a verificare se il viaggio in Francia fosse compatibile con la cura di una persona.

L'ultimo episodio concerne le elezioni Ipasvi che si sono svolte il 25, 26 e 27 novembre 2017 a Trento e che - secondo quanto riportato dai giornali - erano state presiedute proprio da Zappini, come prevede tra l'altro la legge. Eppure, il prospetto individuale che raccoglie le presenze della dirigente riporta l'attribuzione di un permesso previsto dalla legge 104. Nelle scorse settimane, un dipendente del Poli aveva perso il posto dopo essere stato sorpreso alla partita di pallavolo mentre stava sfruttando i benefici della legge.

IL "CASO" AUTO

Una seconda interrogazione depositata in Provincia vede protagonista la dirigente della Centrale Unica di emergenza Luisa Zappini. Anche in questo caso, a presentarla è stato il consigliere del Movimento 5 Stelle Filippo Degasperi, che si focalizza sull'utilizzo dell'auto di servizio.

L'ipotesi è che la Fiat Bravo - con targa della protezione civile e in dotazione alla Cue - sia stata utilizzata dalla dirigente per svolgere un incarico di docenza che le è stato assegnato dal direttore dell'Istituto professionale Barelli di Riva del Garda (17 ore di docenza a 60 euro l'una su "Principi organizzativi e metodologie del lavoro in ambito sanitario"). La macchina è stata infatti fotografata nel parcheggio della scuola per operatori socio sanitari. "La presenza del mezzo era stata notata dai cittadini già in precedenza, e una sola verifica da parte mia è stata sufficiente per confermare la fondatezza della segnalazione" ha scritto Degasperi nell'interrogazione. Il consigliere pentastellato chiede dunque chiarimenti alla Provincia sull'utilizzo della vettura di servizio.

FONTE INTERNET

Spesso però si ignora che tali comportamenti sono rilevanti non solo da un punto di vista civilistico, costituendo un illecito disciplinare nei confronti dell'azienda con possibilità di licenziamento, ma anche sotto un aspetto penale. Come ha più volte detto la Cassazione, infatti, chi abusa dei permessi della legge 104 commette reato di truffa ai danni dello Stato. Chi non rispetta i permessi per la 104 è bene ricordare alcuni importanti chiarimenti forniti l'anno scorso dalla Cassazione.

La Suprema Corte ha precisato che, in materia di permessi retribuiti dal lavoro "104", è stato abrogato l'obbligo di assistenza continuativa. In buona sostanza non è più necessario passare tutta la giornata accanto al familiare disabile; rimane tuttavia vietato l'utilizzo dell'intero giorno di permesso per scopi personali (ad esempio una gita o il riposo a casa). Questo perché chi ha la sfortuna di avere un parente bisognoso di assistenza è più svantaggiato rispetto ai colleghi di lavoro, alternando le proprie giornate tra il servizio e l'assistenza medesima. Per cui ben venga la possibilità, durante i giorni di permesso, di sbrigare piccole incombenze personali, senza però distrarsi dalla finalità principale che deve avere tale giorno di assenza dal lavoro.

Detto ciò, vediamo come segnalare al datore chi non rispetta i permessi 104. Come anticipato, l'abuso dei permessi 104 integra sia una causa di licenziamento (pertanto, il datore di lavoro ha un interesse primario e personale all'accertamento dell'illecito), quanto un illecito ai danni dell'Inps e, quindi, dello Stato; è pertanto un reato procedibile d'ufficio su semplice segnalazione di qualsiasi soggetto.

La violazione dei permessi della legge 104 è, quindi, di un comportamento - per usare le stesse parole della Cassazione - "suscettibile di rilevanza penale". Questo significa che qualsiasi soggetto può presentarsi presso una una stazione della polizia o dei carabinieri per segnalare l'abuso dei permessi 104 perpetrato da un collega o da qualsisia altra persona. Come tutti i reati procedibili d'ufficio, la denuncia è un semplice "avviso" che si fornisce alle forze dell'ordine, tenute poi ad aprire il fascicolo e trasmetterlo alla Procura della Repubblica per l'avvio delle indagini. Non è necessario avere le prove di ciò che si afferma poiché anche la ricerca di queste spetta all'ufficio del Pm. L'assenza di prove non espone neanche al rischio di una controquerela per calunnia, la quale ricorre solo in caso di denuncia fatta in malafede, ben conoscendo cioè l'innocenza altrui.

 INDAGINI ASSENTEISMO DEI DIPENDENTI DOPPIO LAVORO

L’agenzia IDFOX SRL, investigazioni assenteismo dipendenti, è specializzata nelle ”indagini infedeltà aziendale”, indagini assenteismo dipendenti, indagini doppio lavoro, indagini concorrenza sleale, indagini fuga di notizie, indagini di pre-assunzione, indagini comportamenti lavorativi, indagini controspionaggio , antisabotaggio industriale, bonifiche telefoniche, indagini economiche, indagini falsa malattia, indagini falso infortunio e indagini violazione patto di non concorrenza.

 I controlli c.d. difensivi, ovverosia volti ad accertare comportamenti illeciti, mancanze e atteggiamenti inidonei rispetto alla normale attività lavorativa, infatti, non sono da reputarsi vietati, specie se rivolti verso un lavoratore che svolga la propria attività al di fuori dei locali aziendali, cioè in luoghi in cui l'interesse a una corretta esecuzione della prestazione lavorativa è di più facile lesione, così come lo è l'immagine aziendale.

 Così, con la sentenza numero 20440/2015, depositata il 12 ottobre (qui sotto allegata), i giudici hanno ritenuto legittimo il licenziamento intimato da un datore di lavoro che, con il sistema g.p.s. e con l'ausilio di un'agenzia privata di investigazioni, aveva accertato che il lavoratore, nello svolgimento della propria attività, si concedeva davvero troppe pause caffè, trattenendosi in bar e tavole calde fuori dalla zona di lavoro per colloquiare, ridere e scherzare con i colleghi.

 La determinazione della collocazione e della durata delle pause, infatti, non può essere rimessa al totale arbitrio del lavoratore e non deve essere di certo confusa con i momenti di soddisfazione delle necessità fisiologiche.

 Così, ogni tentativo del dipendente licenziato di far valere l'illegittimità del recesso è risultato vano: per la Corte la lesione del nesso fiduciario che deve legare dipendente e azienda è palese e le tempistiche e le modalità del recesso sono incontestabili.

 Il licenziamento va quindi confermato. E il ricorrente si trova costretto a pagare le spese di lite.

 Corte di cassazione testo sentenza numero 20440/2015

 Dipendenti spiati su Facebook: per la cassazione non c’è reato

28 maggio 2015 - 07:52

Stando ad una recente sentenza il dipendente può essere spiato anche su Facebook

Dipendenti spiati su Facebook: per la cassazione non c’è reato 28/05/2015 - Il vostro datore di lavoro vi spia su Facebook ? Purtroppo, per voi, non si prefigura nessun reato. A stabilirlo la Cassazione secondo cui un datore di lavoro puo addirittura ricorrere alla realizzazione di un falso profilo Facebook, per “riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale”. Tuttavia si esclude il controllo “l’attività lavorativa più propriamente detta”. Dunque su Facebook bisogna stare attenti: visto che secondo i giudizi “la creazione del falso profilo facebook costituisca, di per sè, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, attenendo ad una mera modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore, non invasiva nè induttiva all’infrazione, avendo funzionato come mera occasione o sollecitazione cui il lavoratore ha prontamente e consapevolmente aderito”. Insomma attenzione su Facebook a chi ha accettate come amico.

Spiare dipendenti su Facebook per la cassazione non è reato –

 Pensateci su molto bene prima di accettare amici su Facebook. Pare, infatti, che se il vostro datore di lavoro avesse intenzione di spiarvi attraverso il social, abbia tutte le carte in regola per farlo. La Cassazione parla di una “tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi ‘occulti’, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti”. Attenzione su facebook dunque.

 Fonte Internet

Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 25162 del 26 Novembre 2014. 

 E' legittimo il licenziamento del dipendente che, in malattia a seguito di patologia causata da ragioni di servizio (nella specie, le mansioni lavorative consistevano nello spostare e sollevare pesi ingenti) nei giorni di assenza compiva attività logicamente incompatibili con la patologia stessa – come sollevare una bombola a gas, cambiare una ruota, prendere in braccio la figlia.

 Lo afferma la Corte di Cassazione specificando inoltre che è legittimo il ricorso a un'agenzia investigativa da parte del datore di lavoro per assumere queste informazioni.

 Il giudice del merito, spiega la Corte, essendo la questione circoscritta alla valutazione di fatto, per valutare la sussistenza del requisito della giusta causa di licenziamento, deve accertare che sussistano gravi negazioni di elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolar modo carenze del rapporto fiduciario che lega datore di lavoro e dipendente.

Fonte: Cassazione: giusta causa di licenziamento e impiego di investigatore privato

 

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Fonte: Cassazione: legittimo il licenziamento per assenze 'a macchia di leopardo'

Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 18678 del 4 Settembre 2014. Quando è legittimo licenziare un dipendente per assenza reiterata causata da malattia? A tutela del lavoratore esiste nell'ordinamento il limite del c.d. periodo di comporto, al di sotto del quale, previa idonea giustificazione medica (ove richiesto dalla legge), il lavoratore non può essere destinatario di licenziamento per giustificato motivo. "Tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cod. civ.".

Sentenza Corte di Cassazione - Sezione Lavoro 04.09.2014, n. 18678Legislazione e dottrina

Sentenza Corte di Cassazione - Sezione Lavoro 04.09.2014, n. 18678

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

La Corte Suprema di Cassazione - Sezione Lavoro

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Federico Roselli - Presidente

Dott. Giuseppe Napoletano - Consigliere

Dott. Umberto Berrino - Consigliere

Dott. Rosa Arienzo - Consigliere

Dott. Irene Tricomi - Rel. Consigliere

Ha pronunciato la seguente

Sentenza

Sul ricorso 30765-2011 proposto da:

... già elettivamente domiciliato in Roma, via ..., presso lo studio dell'avvocato ... giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;

- Ricorrente -

Contro

S.P.A. P.I. ...

- intimata -

Nonché da:

S.P.A. P.I. ... in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via ... presso lo studio dell'avvocato ..., rappresentata e difesa dall' avvocate ... giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

...;

- intimato -

avverso la sentenza n. 801/2011 della Corte d'Appello di L'Aquila, depositata il 07/09/2011 R.G.N. 1594/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2014 dal consigliere Dott. Irene Tricomi;

udito l'Avvocato ... ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carestia Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento ricorso incidentale.

Svolgimento del fatto

1. La Corte d'Appello de L'Aquila, con la sentenza n. 801/11, pronunciando sull'impugnazione proposta da ... nei confronti della società ... spa, avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Vasto n. 335 dell' 11 gennaio 2011, la rigettava.

2. ... aveva adito il Tribunale per sentir dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogatogli per giustificato motivo oggettivo dalla suddetta società in data 10 novembre 2003, con tutte le conseguenti statuizioni ripristinatorie e risarcitorie.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il ... prospettando tre motivi di ricorso.

4. La società ... spa resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato relativo all'inammissibilità dell'appello e quindi del ricorso per cassazione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza di appello.

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettato il vizio di difetto di motivazione della sentenza, per insufficienza e contraddittorietà della stessa su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5.

Il ... censura la statuizione della Corte d'Appello che ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogato in ragione delle sistematiche assenze del medesimo, "a macchia di leopardo", comunicate in limine, con conseguente mancanza di continuità e proficuità, anche se non superiori al periodo di comporto, da cui derivava una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società, risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo, e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale.

Ad avviso del ricorrente, il licenziamento può intervenire solo se viene superato il periodo di comporto, circostanza non verificatasi nel caso di specie.

Peraltro, dalla complessiva lettura degli atti processuali e della sentenza non sarebbe chiara la ragione del licenziamento: giusta causa, o giustificato motivo oggettivo, atteso il riferimento anche allo scarso rendimento.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dalla mera adesione alle conclusioni dell'appellato senza tener conto delle contestazioni dell'appellante; violazione di legge e dei principi dell'onere della prova ex art. 2697 cc, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c..

La società resistente non avrebbe offerto prova in ordine alla circostanza che le assenze avessero causato problemi all'organizzazione produttiva, pur gravando sulla stessa il relativo onere, tenuto conto, altresì, che la medesima società era organizzata in modo da poter sostituire senza difficoltà un lavoratore per improvvisa malattia, tanto che le assenze di esso ricorrente, come risultava dalla prova per testi non avevano bloccato la produzione. Né era stato provato lo scarso rendimento.

La sentenza della Corte d'Appello sarebbe, altresì, affetta da vizio di motivazione rispetto all'esistenza di inequivoci comportamenti discriminatori posti alla attenzione della medesima (quali l'invio di lettera a chiarimento sulle assenze), e sui quali non si era pronunciata affermando che esulassero dal giudizio, benché esso ricorrente avesse posto in luce una successione di eventi che evidenziavano la premeditazione del licenziamento.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 cc, nonché dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, anche in relazione all'art. 32 Cost., con conseguente difetto di motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.

Il lavoratore censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha affermato che l'eccessiva morbilità, dovuta a reiterate assenze, anche se indipendente da colpevolezza dello stesso, e nei limiti del periodo di tolleranza contemplato dalla contrattazione collettiva, aveva integrato gli estremi dello scarso rendimento, sicché la propria prestazione non si rilevava più utile per il datore di lavoro.

Espone il ricorrente che il licenziamento può intervenire solo nel caso di superamento del periodo di comporto, anche quando la malattia non ha carattere unitario o continuativo.

Non poteva, quindi, ritenersi il giustificato motivo oggettivo del licenziamento, non essendo, inoltre, state provate le esigenze produttive e organizzative poste alla base del recesso datoriale, che peraltro avrebbe richiesto, il cd. repechage.

Ai fini di una corretta lettura delle vicende di causa il ... infine richiama la motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Vasto che aveva accolto il reclamo avverso il rigetto del ricorso ex art. 700 c.p.c. avente ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro.

4. I tre motivi del ricorso principale devono essere trattati congiuntamente. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

4.1. Le censure toccano, sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione di legge, i seguenti punti della statuizione della Corte d'Appello.

Mancata chiarezza nella sentenza circa la causale del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

Illegittimità del licenziamento per eccessiva morbilità.

Mancanza di prova delle esigenze organizzative e produttive e dello scarso rendimento del lavoratore.

4.2. Va premesso che, anche in sede di impugnazione, sarebbe ammissibile la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando l'immutabilità della contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto (si cfr., Cass., n. 12884 del 2014). Tuttavia, nella specie, la sentenza, in modo chiaro, e in più punti, afferma la legittimità del licenziamento irrogato per giustificato motivo oggettivo, così qualificando l'atto di recesso.

In particolare, sia nel richiamare la prospettazione del ricorrente in appello: "l'appellante censura l'impugnata sentenza addebitandole di aver erroneamente ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli", sia nell'esporre le argomentazioni che fanno "giustificare il provvedimento risolutorio per giustificato motivo oggettivo, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione irrogata", il giudice di secondo grado qualifica come licenziamento per giustificato motivo oggettivo l'atto di recesso.

Quindi, ritiene il Collegio che la censura nella sostanza investa, in uno con le altre doglianze, la mancanza delle condizioni per ritenere legittimo il recesso, così qualificato, in ragione delle doglianze sopra esposte in sintesi.

4.3. Costituisce giurisprudenza costante di questa Corte che la fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cc, che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.

Ne consegue che il datore di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (ex multis, Cass., n. 1861 del 2010).

4.4. Nella specie, tuttavia, le assenze del lavoratore, dovute a malattia, vengono in rilievo sotto un diverso profilo, per cui non può trovare applicazione la giurisprudenza da ultimo richiamata, come, invece, dedotto dal ricorrente.

4.5. Per le modalità con cui le assenze si verificavano, che, riportate in sentenza (per un numero esiguo di giorni, due o tre, reiterate anche all'interno dello stesso mese, e costantemente "agganciate" ai giorni di riposo del lavoratore - n. 520 ore nel 1999, n. 232 nel 2000, n. 168 nel 2001, n. 368 nel 2002, n. 248 nel 2003), non sono contestate dal lavoratore con l'odierno ricorso, le stesse, infatti, davano luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società, rivelandosi la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale così da giustificare il provvedimento risolutorio (senza peraltro, come dedotto dal lavoratore che la Corte d'appello facesse riferimento a motivi oggettivi).

4.6. Occorre ricordare che, ai sensi dell''art. 3 della legge n. 604 del 1966 "il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".

4.7. La giurisprudenza di questa Corte ha, poi, precisato che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. - il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto (ex multis, Cass., n, 7474 del 2012).

Ancora, si è affermato che è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (Cass., n. 3876 del 2006).

4.8. La statuizione della Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione, con congrua motivazione, dei principi sopra enunciati.

È bene chiarire che per la Corte d'Appello, la malattia non viene in rilievo di per sé, come si è già detto, ma in quanto le assenze in questione, anche se incolpevoli, davano luogo a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.

Le stesse, infatti, incidevano sulle esigenze di organizzazione e funzionamento dell'azienda, dando luogo a scompensi organizzativi. Come risultava dalla istruttoria (testi escussi colleghi de ...) le assenze comunicate all'ultimo momento determinavano la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto, considerato, fra l'altro che il ... risultava assente proprio allorché doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno, il che causava ulteriore difficoltà nella sostituzione (oltre che malumori nei colleghi che dovevano provvedere alla sostituzione), ciò anche in ragione del verificarsi delle assenze "a macchia di leopardo".

Peraltro, questa è la ratio decidendi della sentenza, mentre il richiamo alla mancata risposta alla lettera con la quale si invitavano i dipendenti tra cui ... a dedurre in ordine alle numerose assenze, non è posto dalla Corte d'Appello in relazione con il licenziamento.

Priva di fondamento è, dunque, la censura della non irrogabilità del licenziamento in presenza di assenze per malattia che non superino il periodo di comporto, così come non fondata è la censura che contesta la congruità del controllo effettuato dal giudice di merito sulle ragioni del licenziamento, in ragione della motivazione sopra richiamata della decisione impugnata.

Né viene in rilievo in questo caso, per le sopra esposta causale del licenziamento, il cd. "repechage", con il quale si esprime l'obbligazione posta a carico di quest'ultimo di adibire il lavoratore licenziato in altre mansioni reperibili in azienda di analogo livello professionale.

Il richiamo alle prove testimoniali effettuato dal ricorrente (teste ...) è parziale e non consente di verificarne la decisività, e si presenta meramente funzionale a sottoporre alla Corte una propria ricostruzioni dei fatti sui quali si chiede un'inammissibile, in sede di legittimità, valutazione di merito.

Quanto alle deduzioni difensive volte a censurare l'inadeguatezza e la carenza della sentenza impugnata rispetto all'esistenza di inequivoci comportamenti discriminatori, occorre rilevare che il ... che non ricorre ex art. 360, n. 4, c.p.c., rinvia all'atto di appello, non riportando i motivi dello stesso nel presente ricorso, con conseguente difetto di autosufficienza della censura, e contesta in modo generico la statuizione della Corte d'Appello circa l'esclusione dal thema decidendum del presente giudizio della valenza persecutoria o discriminatoria del licenziamento, fattispecie che avrebbe dovuto essere ricollegata ad una diversa domanda, di accertamento di mobbing, risultando inammissibili le censure.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

6. Al rigetto del ricorso principale segue l'assorbimento del ricorso incidentale proposto in via condizionata.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Assorbito l'incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, oltre euro quattromila per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Le nostre investigazioni aziendali, consentono di tutelare i beni intellettuali, frutto di ingenti investimenti, progettazioni e dal trafugamento di dati, informazioni riservate, oltre a fare luce su fuga di notizie, furti, ammanchi contabili e tutela di marchi e brevetti.

I danni prodotti dai collaboratori e soci infedeli possono essere di diverse tipologie: -danno economico derivante dal mancato fatturato; -inefficienza nell’erogazione dei prodotti o servizi. -scarsa credibilità commerciale. -favorire aziende concorrenti;

L’agenza IDFOX SRL, vanta esperienza ultra ventennale ed impiega sofisticate apparecchiature volte a scoprire attività illecite a danno delle aziende e, disponiamo di un team di investigatori privati altamente specializzato ed addestrato, sotto copertura, infiltrarsi, osservare, pedinare e raccogliere “preziose” informazioni, nonché la verifica di situazioni di pirateria informatica e l’utilizzo improprio di progetti o beni aziendali. 

Tutte le indagini aziendali, sono personalizzate e svolte con diligenza ed alta professionalità, supportato da procedure investigative e con tecnologie investigative innovative . Le investigazioni aziendali o investigazioni private, sono svolte direttamente dai nostri investigatori privati, senza l’intermediazione di altre agenzie investigative ed al termine delle indagini verrà rilasciata una dettagliata relazione tecnica, supportata di filmati/foto, con impresso data ed ora, nonché di altre eventuali documentazioni valide per tutti gli usi consentiti dalla Legge. 

Le investigazioni aziendali svolte dall’Agenzia IDFOX SRL consentono di risolvere le controversie in sede stragiudiziale, eliminando i costi e i tempi di eventuali cause e/o risarcimento di maggior danno.

SEDE: VIA LUIGI RAZZA 4 - 2014 MILANO - 300 MT STAZIONBE CENTRALE - 50 MT MM GIALLA USCITA  REPUBBLICA/PISANO  P.IVA 10260380158

 

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Cassazione: legittimo il licenziamento del dipendente che in malattia svolgeva un'altra attività lavorativa, confermata dalle prove testimoniali e documentali dell'agenzia investigativa.

L’ aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore a causa di altre attività lavorative svolte, ha configurato un grave inadempimento e violato gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro.

Ennesima sentenza che conferma il principio per il quale l’aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, configura un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all’interesse del datore di lavoro, risultando violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro tutte le volte che la natura dell’infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente.

La sentenza è del 25 novembre 2013, n. 26290, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un lavoratore contro la sentenza di I grado e II grado vertente sull’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente dalla società datrice di lavoro.

Nel caso di specie, i giudici di merito rilevavano, che il dipendente nei giorni in cui era stato assente per malattia ed infortunioaveva svolto altra attività lavorativa, attività che veniva attestata dalle prove documentali (video/foto) e testimoniali dell’agenzia investigativa privata, incaricata di raccogliere elementi probatori a supporto dei sospetti della società. L’istituto investigativo confermava anche con riprese filmate all’esterno del pubblico esercizio (pizzeria) ove lavorava sua moglie, la presenza del lavoratore che svolgeva attività di supporto all'esercizio commerciale, che ne avevano pregiudicato la guarigione.

Il ricorrente si difendeva sostenendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2106 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione al disposto dell’art. 2119 cod. civ. e dell’art. 1 della legge n. 604/66, nonché motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine alla giusta causa di licenziamento” poiché l’ attività lavorativa nel periodo di malattia si esplicava solamente in un aiuto “leggero” alla moglie che non richiedeva uno sforzo fisico pregiudizievole per la salute.

La Cassazione è intervenuta sul punto e ha sostenuto che: “….il lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un’assenza per malattia ha l’onere di dimostrare la compatibilità dell’attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, restando peraltro le relative valutazioni riservate al giudice del merito all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto” (così cass. 19 dicembre 2000, n. 15916 ed in senso conforme cass. 13 aprile 1999, n. 3647).

“..deve pure osservarsi che non può ritenersi estraneo al giudizio vertente sul corretto adempimento dei doveri di buona fede e correttezza gravanti sul lavoratore un comportamento che, inerente ad attività extra lavorativa, denoti l’inosservanza di doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa” (ctr. cass. 21 aprile 2009, n. 9474).

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